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Diagnosi: autismo

Diagnosi: appartenenza allo spettro autistico.

In questo articolo vorrei soffermarmi sull’età a partire dalla quale è possibile sottoporsi a valutazioni per approfondire le caratteristiche neurobiologiche, quali siano le figure professionali che possono effettuare diagnosi e sopratutto a cosa serve questo documento.

Iniziamo in ordine cronologico partendo dall’età.

Dal momento che si nasce con un funzionamento, che può essere autistico, neurotipico o neurodivergente, da quale momento è possibile rivolgersi ad un professionista?

Ogni essere umano è unico ed irripetibile ed è caratterizzato da diversi fattori che gli permettono di essere associato ad un funzionamento rispetto ad un altro. Tra le organizzazioni neurobiologiche vi sono punti in comune ma anche caratteristiche ben distinte, rispetto all’autismo infatti le differenze si manifesteranno a livello di percezione sensoriale, ragionamento, di interazione sociale, interessi ristretti, movimenti o gesti stereotipati etc.

Per intraprendere un percorso di valutazione ci si può affidare a neuropsichiatri infantili, a psicologi e psichiatri esperti di autismo (la prima figura professionale a cui rivolgersi, è sempre il pediatra, che vi indirizzerà alla struttura di competenza del vostro territorio).

I vari professionisti somministrano dei test (ADOS – 2, CARS, ASRS, BSBS) che prevedono dei questionari, dei colloqui con genitori nel caso di minori o con la persona interessata ed alcuni momenti in cui, a seguito della richiesta di compiti, il professionista ha modo di osservare la risposta e quindi il comportamento che segue la richiesta o il compito da svolgere, in modo da osservare bambini o ragazzi in un contesto strutturato.

E’ possibile iniziare un percorso diagnostico tramite l’ADOS-2 a partire dai 12 mesi, rispetto al CARS e al ASRS per cui è necessario attendere i 24 mesi di età.

Questo documento quindi a cosa serve?

La cosa più importante che la diagnosi fa è DARE UN NOME: si tratta di un testo che descrive alcune caratteristiche della persona, è come la fotografia dei momenti che caratterizzano il percorso diagnostico.

Ricevere un nome da dare alla propria mente o alla mente del proprio bambino, non cambia la persona, anzi è di SUPPORTO per evidenziare bisogni e modalità di comportamento, nell’utilizzo di strumenti per facilitare lo sviluppo dell’autonomia e della vita, presente e futura.

Spesso mi viene chiesto se sia utile riceverla o no, se occorre attivarsi per essere affiancati da insegnanti specializzati (nel caso in cui la persona non abbia concluso il percorso scolastico) o se ha effetti nella società.

La risposta è un grandissimo SI, ma non sono io a dirlo, a testimoniare l’importanza della diagnosi come risposta ai dubbi rispetto alla propria mente, sono le persone autistiche che si raccontano. Spesso le persone adulte autistiche senza compromissioni, sono le prime a porsi tanti quesiti e a intraprendere il percorso diagnostico in autonomia per capire in cosa differiscono dalle persone neurotipiche e perché non si trovano bene in determinati contesti.

Ogni diagnosi è diversa dall’altra, spesso poco comprensibile e serve per indicare il tipo di supporto necessario per una persona.

Ora parliamo dei livelli di supporto per precisare una cosa, quando parliamo di livelli intendiamo capire di quanto supporto necessità una determinata persona, in termini di (supporto scolastico, supporto domiciliare, terapie logopediste etc), distinguiamo i livelli di supporto in:

  • livello 1 (è necessario un supporto)
  • Livello 2 (è necessario un supporto significativo)
  • Livello 3 (è necessario un supporto molto significativo)

L’autismo invece è un unico spettro e come le persone neurotipiche, anche le persone autistiche possono essere caratterizzate da un ritardo cognitivo oppure no.

Chi può accorgersi di comportamenti riconducibili al funzionamento autistico?

Ogni situazione è a se, ci sono situazioni in cui i primi ad accorgersi di caratteristiche differenti dalle proprie siano i genitori (se a loro volta i genitori sono neurotipici), alcune volte possono essere gli educatori degli asili nido, in altri casi gli insegnanti della scuola dell’infanzia, altre volta ancora può consigliare una visita specialistica lo stesso pediatra.

Questa differenza sostanziale dipende da molti fattori cerchiamo di racchiuderli in 2 categorie:

  • per quanto riguarda i genitori possiamo dire che, non necessariamente incontreranno particolari difficoltà nella gestione del proprio bambino e se non conoscono le caratteristiche dell’autismo (per come lo si conosce ora), difficilmente avranno un tale dubbio; in altri casi invece, un iter diagnostico spaventa, non sapendo a cosa si va incontro ed è possibile negarne la necessità.

Specialmente quando si tratta del primo figlio, possono non essere chiare le tappe di sviluppo etc.

  • rispetto ad educatori ed insegnanti ci tengo a precisare 2 aspetti, non tutti gli educatori e non tutti gli insegnanti sono specializzati nello spettro autistico, quindi alcuni comportamenti possono essere fraintesi e non considerati indicatori di un funzionamento differente. L’altra questione invece, riguarda la difficoltà di informare le famiglie e suggerire loro un percorso diagnostico; si tratta di uno degli aspetti più complicati da affrontare perché non è scontato che le famiglie siano disposte ad ascoltare e prendere in considerazione la possibilità di un iter nell’immediato, entrano in gioco talmente tante emozioni che si perde la lucidità (in questo video ne parlo meglio.
Piccola Pedagogista Petulante

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